mercoledì 18 giugno 2014

a Roma con John Fante, ospite a LETTERATURE Festival Internazionale di Roma


Ci sarò anch'io e questo è il brano che ho scelto di leggere:

«E così ti droghi» le dissi.
«Solo ogni tanto» obiettò. «Quando sono stanca.»
«Devi smetterla.»
«Non è mica un'abitudine.»
«Comunque la devi piantare.»
Si strinse nelle spalle. «A me va bene così.»
«Promettimi che la farai finita.»
Si fece una croce in corrispondenza del cuore. «Che io possa morire all'istante.»
Ma stava parlando ad Arturo, non a Sammy, e io sapevo che non avrebbe mantenuto la promessa.
Mise in moto, poi si avviò lungo Broadway fino all'Ottava, dove svoltò, diretta alla Central Avenue.
«Dove andiamo?» le dissi.
«Adesso vedrai.»
Imboccammo la Black Belt di Los Angeles, Central Avenue, una via di night club, case abbandonate ed edifici cadenti, dove i neri morivano di fame e i bianchi venivano a spassarsela.
Ci fermammo sotto l'insegna di un locale notturno, il Club Cuba.
Camilla conosceva il portiere, un gigante che indossava un'uniforme blu con i bottoni d'oro.
«Affari» gli disse.
Lui sogghignò, fece cenno a qualcuno di prendere il suo posto e saltò sul predellino.
Tutto si era svolto come se si trattasse di una consuetudine.
Lei girò l'angolo e continuò per un paio di isolati, finché arrivammo a un vicolo. Lo imboccò, spense le luci e proseguì lentamente nel buio più totale. Arrivata a una specie di apertura, spense il motore.
Il gigante nero saltò giù dal predellino, estrasse una lampadina tascabile e ci fece cenno di seguirlo. 
«Posso chiederti cosa diavolo sta succedendo?» le dissi.
Varcammo una porta. Il negro ci precedeva, tenendo per mano Camilla, la quale a sua volta teneva me.
Percorremmo un lungo corridoio con il pavimento in legno. L'eco dei nostri piedi si levò verso i piani superiori, come il rumore di un gruppo di uccelli spaventati.
Salimmo tre rampe di scale e ci inoltrammo in un altro corridoio, in fondo al quale c'era una porta. Il negro l'aprì, ma io non vidi altro che buio.
Entrammo. La stanza era piena di fumo; non lo si vedeva, ma mi assalì, penetrandomi in gola e soffocandomi. Inghiottii, cercando di riprendere fiato.
Poi il negro accese la sua lampadina tascabile. Il fascio di luce perlustrò la stanza.
Era piccola e zeppa di corpi, corpi di negri, uomini e donne, sdraiati per terra o su un letto, costituito da una rete con un materasso appoggiato sopra.
Alla luce della lampadina vidi i loro occhi, spalancati e opachi come ostriche, e, man mano che mi abituavo al fumo, scorsi tutt'attorno dei puntini incandescenti.
Fumavano tutti marijuana, al buio e in silenzio, lo capivo dall'odore pungente che mi feriva i polmoni.
Il negro buttò giù dal letto i suoi occupanti, scaraventandoli per terra come dei sacchi di farina, e si mise a frugare in uno squarcio del materasso.
Quando si rialzò, aveva in mano una scatola di tabacco Prince Albert.
Riaprì la porta e ci precedette giù per le scale buie fino alla macchina. Qui porse la scatola a Camilla, che gli diede due dollari.
Lo lasciammo davanti al night, dove riprese le funzioni di portiere, e riprendemmo la Central Avenue diretti in centro.
Ero senza parole.

JOHN FANTE - CHIEDI ALLA POLVERE