sabato 1 dicembre 2012

il sociale è lavoro?

Il sociale è lavoro? Certo, ma dobbiamo imparare a raccontarlo. 
articolo pubblicato su SOLIDEA  dicembre 2012

Ma tu che lavoro fai?”
Mi occupo di immigrazione, tratta e prostituzione”
Ma è un lavoro?”
Sì, è un lavoro...”
Ah...”

Capita spesso, quando racconto ad estranei di quello di cui mi occupo nella vita, di vedere facce perplesse o peggio ancora sorrisi di cortesia. Molti, presi da quest'overdose culturale di iper produttivismo, non riescono a concepire che operare nel sociale possa essere un lavoro. Nel senso comune il lavoro è altro, produzione, commercio, impiego pubblico...
Il sociale non rientra in questi paradigmi, il sociale per molti è relegato nella sfera del volontariato, qualcosa da fare se c'è del tempo che avanza, qualcosa che ha dei costi e non genera profitto. Qualcosa che al limite si può fare se al momento non si trova nulla di meglio.
Ma il sociale è lavoro e genera anche ricchezza, basta solo cambiare l'angolatura da cui lo si osserva.
Provo a fare qualche esempio pratico.

Primo esempio - L'intervento sanitario.
Da più di 10 anni, in provincia di Asti mi muovo nel mondo dei servizi rivolti alle donne vittime della tratta, quelle migliaia di donne sfruttate che vediamo ogni giorno prostituirsi sulle nostre strade. Gli interventi messi in campo sono di tipo socio-sanitario. Con l'unità di strada un'equipe mista di operatori sociali e mediatrici culturali settimanalmente va in giro a contattare le donne che si prostituiscono distribuendo preservativi e informazionisanitarie. Lo scopo è quello di prevenire le IST (Infezioni Sessualmente Trasmissibili, l’HIV, ma non solo) e convincere le donne ad adottare pratiche di sesso sicuro e a recarsi agli ambulatori delle ASL per effettuare i controlli sanitari.
In questo modo si tutela la salute delle sex workers ma anche quella dei clienti e delle loro mogli o compagne.
Un intervento di prevenzione che ha una ricaduta su tutta la popolazione.
Quanto costa?
Personale 13.312 euro, preservativi 1.456 euro, carburante 1.560 euro, totale spesa16.328 euro.
Nel 2011 nell'astigiano questo intervento ha prodotto 2.745 contatti con una spesa media di 5,90 euro a contatto.
Un paziente “solamente” sieropositivo, che non ha sviluppato altre patologie, costa ad ogni ASL circa 1.400 euro al mese di mantenimento farmacologico, per tutta la vita. Se poi l'infezione si aggrava, i costi e le cure aumentano notevolmente. Tutto a carico della sanità regionale.
Quindi se in un anno anche solo un preservativo che abbiamo distribuito per strada è servito a evitare un contagio, abbiamo fatto risparmiare alle casse regionali circa 16.800 euro, a fronte di una spesa di 16.328 per finanziare l'intera attività di unità di strada.
Non vorrei essere presuntuoso, ma penso che durante tutto un anno di attività, qualche migliaia di preservativi distribuiti e 61 accompagnamenti agli ambulatori IST, il nostro intervento abbia evitato ben più di un solo caso di contagio.
E quindi necessario cambiare anche il modo di raccontare il nostro lavoro, noi non siamo quelli che vanno in giro a dare i preservativi alle puttane clandestine, pagati con i fondi pubblici. Noi siamo quelli che, con costi ragionevoli, facciamo risparmiare alle casse regionali, e di conseguenza anche ai contribuenti, un bel po' di denaro pubblico.
Il lavoro sociale quindi non come costo a perdere, ma come risorsa per tutta la cittadinanza.
Senza dimenticare che contribuiamo alla tutela della salute collettiva ed al benessere di tutti, e questo è difficilmente monetizzabile, ma importantissimo.

Secondo esempio - L'intervento sociale.
Dagli studi fatti anche a livello internazionale emerge che ogni vittima di tratta, ridotta in schiavitù e costretta a prostituirsi, porta un guadagno alla criminalità coinvolta di almeno 50.00 a vittima.
In provincia di Asti, nel corso degli ultimi 10 anni, PIAM onlus ha fornito accoglienza e assistenza a 86 donne vittime di tratta. Parliamo di donne che si sono sottratte al racket, scappando dai propri sfruttatori e sovente anche denunciandoli alle forze dell'ordine.
Ognuna di queste donne ha rappresentato quindi un mancato guadagno per le mafie di almeno 50.000 euro.
Se prendiamo in considerazione tutte le 86 vittime di tratta che ha assistito in 10 anni il PIAM, possiamo quantificare il danno subito dalla criminalità: 4.300.000 euro.
Se queste donne fossero rimaste incagliate nelle maglie del racket, quei 4.300.000 euro sarebbero stai reinvestiti dalle mafie nell'acquisto di nuove donne da sfruttare, in droga, in appalti e corruzione. Con un effetto moltiplicatore incalcolabile.
E quali i costi sociali può causare una presenza così forte delle mafie sui nostri territori?
E un investimento così ingente della criminalità sui nostri territori, quanto e come avrebbe condizionato la qualità della vita di tutta la popolazione?
E quali costi lo Stato avrebbe dovuto affrontare in materia di repressione, controllo, ordine pubblico?
Di certo, a fronte di un danno economico quantificabile in 4.300.000 euro nella sola provincia di Asti che l'intervento sociale contro la tratta ha recato in un decennio alle mafie, c'è che il costo per il finanziamento dei progetti di protezione e inserimento sociale per le vittime della tratta (a carico del Dipartimento Pari Opportunità) è stato di poco più di un milione di euro (circa 100.000 euro all'anno).
E con questi finanziamenti, oltre che ha recare un danno concreto alla criminalità, abbiamo creato anche 5 posti di lavoro full time a tempo indeterminato e formato operatori sociali dalla grande professionalità.
E 86 donne adesso hanno una vita normale, indipendente e libera.
E questo non ha un prezzo.

Ma tu che lavoro fai?”.
Mi occupo di immigrazione, tratta e prostituzione”
Ma è un lavoro?”
Sì, è un lavoro... è un lavoro che permette a tutti, compreso tu, di vivere meglio e pagare
meno tasse”
Ah...”

Asti, 14/11/2012