Il
sociale è lavoro? Certo, ma dobbiamo imparare a raccontarlo.
articolo pubblicato su SOLIDEA dicembre 2012
“Ma
tu che lavoro fai?”
“Mi
occupo di immigrazione, tratta e prostituzione”
“Ma
è un lavoro?”
“Sì,
è un lavoro...”
“Ah...”
Capita
spesso, quando racconto ad estranei di quello di cui mi occupo nella
vita, di vedere facce
perplesse o peggio ancora sorrisi di cortesia. Molti, presi da
quest'overdose culturale di
iper produttivismo, non riescono a concepire che operare nel sociale
possa essere un lavoro.
Nel senso comune il lavoro è altro, produzione, commercio, impiego
pubblico...
Il
sociale non rientra in questi paradigmi, il sociale per molti è
relegato nella sfera del volontariato,
qualcosa da fare se c'è del tempo che avanza, qualcosa che ha dei
costi e non
genera profitto. Qualcosa che al limite si può fare se al momento
non si trova nulla di meglio.
Ma
il sociale è lavoro e genera anche ricchezza, basta solo
cambiare l'angolatura da cui
lo si osserva.
Provo
a fare qualche esempio pratico.
Primo
esempio - L'intervento sanitario.
Da
più di 10 anni, in provincia di Asti mi muovo nel mondo dei servizi
rivolti alle donne vittime
della tratta, quelle migliaia di donne sfruttate che vediamo ogni
giorno prostituirsi sulle
nostre strade. Gli interventi messi in campo sono di tipo
socio-sanitario. Con l'unità di strada
un'equipe mista di operatori sociali e mediatrici culturali
settimanalmente va in giro a
contattare le donne che si prostituiscono distribuendo preservativi e
informazionisanitarie.
Lo scopo è quello di prevenire le IST (Infezioni Sessualmente
Trasmissibili, l’HIV, ma
non solo) e convincere le donne ad adottare pratiche di sesso sicuro
e a recarsi agli ambulatori
delle ASL per effettuare i controlli sanitari.
In
questo modo si tutela la salute delle sex workers ma anche quella dei
clienti e delle loro mogli
o compagne.
Un
intervento di prevenzione che ha una ricaduta su tutta la
popolazione.
Quanto
costa?
Personale
13.312 euro, preservativi 1.456 euro, carburante 1.560 euro, totale
spesa16.328
euro.
Nel
2011 nell'astigiano questo intervento ha prodotto 2.745 contatti con
una spesa media di
5,90 euro a contatto.
Un
paziente “solamente” sieropositivo, che non ha sviluppato altre
patologie, costa ad ogni ASL
circa 1.400 euro al mese di mantenimento farmacologico, per tutta la
vita. Se poi l'infezione
si aggrava, i costi e le cure aumentano notevolmente. Tutto a carico
della sanità regionale.
Quindi
se in un anno anche solo un preservativo che abbiamo distribuito per
strada è servito
a evitare un contagio, abbiamo fatto risparmiare alle casse regionali
circa 16.800 euro,
a fronte di una spesa di 16.328 per finanziare l'intera attività di
unità di strada.
Non
vorrei essere presuntuoso, ma penso che durante tutto un anno di
attività, qualche migliaia
di preservativi distribuiti e 61 accompagnamenti agli ambulatori IST,
il nostro intervento
abbia evitato ben più di un solo caso di contagio.
E
quindi necessario cambiare anche il modo di raccontare il nostro
lavoro, noi non siamo quelli
che vanno in giro a dare i preservativi alle puttane clandestine,
pagati con i fondi pubblici.
Noi siamo quelli che, con costi ragionevoli, facciamo risparmiare
alle casse regionali,
e di conseguenza anche ai contribuenti, un bel po' di denaro
pubblico.
Il
lavoro sociale quindi non come costo a perdere, ma come risorsa per
tutta la cittadinanza.
Senza
dimenticare che contribuiamo alla tutela della salute collettiva ed
al benessere di tutti,
e questo è difficilmente monetizzabile, ma importantissimo.
Secondo
esempio - L'intervento sociale.
Dagli
studi fatti anche a livello internazionale emerge che ogni vittima di
tratta, ridotta in schiavitù
e costretta a prostituirsi, porta un guadagno alla criminalità
coinvolta di almeno 50.00
a vittima.
In
provincia di Asti, nel corso degli ultimi 10 anni, PIAM onlus ha
fornito accoglienza e assistenza
a 86 donne vittime di tratta. Parliamo di donne che si sono sottratte
al racket, scappando
dai propri sfruttatori e sovente anche denunciandoli alle forze
dell'ordine.
Ognuna
di queste donne ha rappresentato quindi un mancato guadagno per le
mafie di almeno
50.000 euro.
Se
prendiamo in considerazione tutte le 86 vittime di tratta che ha
assistito in 10 anni il PIAM,
possiamo quantificare il danno subito dalla criminalità: 4.300.000
euro.
Se
queste donne fossero rimaste incagliate nelle maglie del racket, quei
4.300.000 euro sarebbero
stai reinvestiti dalle mafie nell'acquisto di nuove donne da
sfruttare, in droga, in appalti
e corruzione. Con un effetto moltiplicatore incalcolabile.
E
quali i costi sociali può causare una presenza così forte delle
mafie sui nostri territori?
E
un investimento così ingente della criminalità sui nostri
territori, quanto e come avrebbe condizionato
la qualità della vita di tutta la popolazione?
E
quali costi lo Stato avrebbe dovuto affrontare in materia di
repressione, controllo, ordine pubblico?
Di
certo, a fronte di un danno economico quantificabile in 4.300.000
euro nella sola provincia
di Asti che l'intervento sociale contro la tratta ha recato in un
decennio alle mafie, c'è
che il costo per il finanziamento dei progetti di protezione e
inserimento sociale per le vittime
della tratta (a carico del Dipartimento Pari Opportunità) è stato
di poco più di un milione
di euro (circa 100.000 euro all'anno).
E
con questi finanziamenti, oltre che ha recare un danno concreto alla
criminalità, abbiamo creato
anche 5 posti di lavoro full time a tempo indeterminato e formato
operatori sociali dalla
grande professionalità.
E
86 donne adesso hanno una vita normale, indipendente e libera.
E
questo non ha un prezzo.
“Ma
tu che lavoro fai?”.
“Mi
occupo di immigrazione, tratta e prostituzione”
“Ma
è un lavoro?”
“Sì,
è un lavoro... è un lavoro che permette a tutti, compreso tu, di
vivere meglio e pagare
meno
tasse”
“Ah...”
Asti,
14/11/2012